La lavorazione inizia con la preparazione dell’Arriccio.
Si tratta di una malta, piuttosto irregolare e granulosa, fatta di calce e sabbia ed che ha due scopi: far si che l’Intonachino si aggrappi, grazie alla sua consistenza granulosa, e trattenere l’umidità cedutale dallo strato sovrastante.
In order to make it more elastic so as to facilitate the application onto a surface which is not rigid, a natural, non-toxic, biodegradable resin is added which does not alter the technical characteristics.
Il tutto va impastato manualmente, aggiungendo a poco a poco l’acqua che serva, fino a raggiungere una malleabilità e consistenza “mielosa”
Si prende poi un pezzo di “Patta” di lino grezzo, la tela di fibra naturale normalmente utilizzata come supporto per gli affreschi strappati dalle pareti e trasferiti sia per esigenze di conservazione che di
restauro, che va fissato su un sopporto non rigido (lastra di polistirolo ad alta densità) con dei chiodini ai quattro angoli.
Su questo, con la cazzuola, si stende l’Arriccio che va distribuito uniformemente e tirato al meglio con il frattazzo, realizzando uno spessore uniforme di circa 3 millimetri.
Il giorno successivo, quando l’Arriccio ha perso circa il 90% dell’acqua creando il presupposto perché attiri letteralmente il secondo strato umido di materiale, si stende la mano di Intonachino, preparato miscelando cemento, a grana finissima, con calce e una piccola parte di gesso per arrivare ad avere una superficie il più possibile liscia.
Si predispone il colore selezionato, tutte terre minerali naturali frantumate in un frantoio successivamente polverizzate in un buratto con sfere in gres, in modo da poterlo utilizzare con uno “spolvero” da posare sul telo intonacato.
Questo è il risultato che si ha con la tecnica del trasferimento del pigmento base dallo “spolvero” all’Intonachino.
A questo punto, mentre il telo intonacato “riposa” su una tavola posizionata in una zona ventilata naturalmente in attesa che il materiale raggiunga una consistenza che ne permetta la manipolazione, si provvede a costruire il telaio in legno di pino stagionato e affumicato (per eliminare la presenza di possibili larve di parassiti) al quale andrà fissato.
Prima, però, vanno rifiniti i bordi, togliendo l’eccesso di materiale, per permettere di graffitarlo sul suo spessore esterno.
Questo bordo, va poi coperto con un listello antichizzato per ottenere la medesima finitura che solitamente si riscontra nelle opere originali strappate e trasferite su pannelli per consentirne la conservazione e l’eventuale esposizione
A questo punto, si passa alla finitura manuale su cavalletto. Qui sotto (di fianco) l’immagine, riproducente l’opera, utilizzata dal pittore per completare il lavoro.
L’artista, sempre con colori naturali diluiti in acqua sulla tavolozza e addizionati con una piccola percentuale di resina per garantire che si “fondano” con le tinte di base, ripassa manualmente disegno e tinte, accentuando contrasti, dettagli e “intensità”, per riprodurre al meglio l’aspetto e lo stato attuale dell’originale.
Dopo ore di lavoro, raggiunto il grado di finitura che ricalchi le caratteristiche dell’opera che si è voluto riprodurre, il pezzo viene siglato e messo ad asciugare sotto un getto d’aria calda accelerando il processo naturale di asciugatura, per indurre, del tutto casualmente, la formazione di micro crepature, che non compromettono la stabilità del materiale ma conferiscono quell’aspetto “antico” e “vissuto” che permette di avere una copia “conforme” all’originale.
La nostra collezione trova nel “Classicismo” l’ispirazione per selezionare soggetti e tecniche d’esecuzione.